L’aggressività nei bambini – scuola dell’infanzia –

Nel linguaggio comune il termine aggressività viene usato per indicare comportamenti molto diversi tra di loro. In generale, per considerare aggressivo un comportamento, il bambino deve agire con l’intenzione di creare disagio agli altri, siano essi coetanei o adulti.

Nei primi anni di vita l’aggressività è generalmente legata alle limitate abilità sociali dei bambini e si manifesta soprattutto a livello motorio e in modo indifferenziato. Un bimbo di tre anni al quale è stato rubato un gioco di mano può reagire con una forte scarica emotiva e mettersi a urlare, a scalciare, a mordere o picchiare il compagno che si è appropriato dell’oggetto che aveva in mano poco prima.

Durante il periodo della scuola dell’infanzia (3-6 anni) le aggressioni fisiche diventano meno frequenti perché il bambino esprime le proprie esigenze anche attraverso il canale verbale, impara progressivamente a rimandare la gratificazione di un desiderio e soprattutto capisce che negli scambi tra coetanei l’aggressività fisica non è accettata.

Cresce il sentimento dell’empatia e gli adulti danno chiari segnali in merito ai comportamenti che possono essere tollerati e a quelli che verranno puniti. D’altro canto, però, il bambino impara che è possibile “colpire” l’avversario con prese in giro o insulti.

I comportamenti aggressivi nei bambini si manifestano attraverso la disobbedienza agli insegnanti, spesso si inventano storie mai accadute, mentono, si mettono nei guai, si comportano in modo tale da infastidire le altre persone e cercano uno scontro fisico e/o verbale con i compagni.

Quello che conta nell’insorgenza di problematiche comportamentali aggressive, oltre al temperamento del bambino o dell’ambiente esterno, è lo stile genitoriale negativo. In particolare, è stato rilevato che quando i genitori esprimono emozioni negative dirette al proprio figlio e quando ci sono conflitti tra la mamma e il bambino, si creerebbe un circolo vizioso in cui la negatività della madre suscita alti livelli di rabbia, nervosismo e ostilità nel piccolo, che, così facendo, a sua volta, stimola ancora più ostilità nella madre stessa. Di conseguenza i bambini, con il passare del tempo, diventerebbero incapaci di regolare le proprie emozioni negative quando queste si manifestano nel gruppo dei pari, portandoli ad agire in modo aggressivo.

Ricerche recenti hanno dimostrato che alcuni stili educativi favoriscono, più di altri, l’emergere di condotte aggressive nei bambini.

STILE AUTORITARIO

Un genitore autoritario, che impone al figlio una serie di regole rigide, stabilite a priori e imposte dall’alto (“A tavola non si gioca con la forchetta perché lo dico io!”)  e che adotta metodi di punizione coercitivi, nei termini di denigrazione e costrizione fisica, finisce per generare nel bambino un forte senso di frustrazione e di impotenza.

Inoltre l’adulto, ponendosi come modello di comportamento violento, legittima la messa in atto di condotte aggressive anche da parte del figlio.

Alcuni genitori considerano la vita una lotta continua e trasmettono ai bambini la convinzione che sia necessario affrontarla con tutta l’aggressività di cui si dispone per evitare di venire assoggettati, umiliati o persino emarginati. Così facendo connotano il comportamento aggressivo positivamente, annoverandolo tra le modalità utili per farsi strada nella vita, per dimostrarsi coraggiosi e capaci di battersi per far valere le proprie ragioni.

STILE PERMISSIVO

D’altro canto, uno stile educativo permissivo, che non propone regole chiare di comportamento, che concede al bambino molte trasgressioni, che cerca di evitare al piccolo ogni forma di frustrazione, gli impedisce di acquisire sufficiente sicurezza in se stesso e capacità di autoaffermazione.

Il genitore permissivo spesso supervisiona poco le frequentazioni del figlio e ciò aumenta la possibilità che il ragazzo incontri nel gruppo modelli di condotta scorretti.

STILE EDUCATIVO INCOERENTE

Altri genitori adottano uno stile educativo incoerente, alternando atteggiamenti permissivi e autoritari in modo apparentemente casuale.

Al mattino, quando sono carichi di energia, prestano attenzione ai minimi dettagli e richiamano il bambino per ogni sciocchezza, mentre alla sera, dopo una lunga giornata di lavoro, concedono al figlio ogni cosa purché non urli e faccia capricci. Anche in questo caso il bambino, privo di chiari punti di riferimento, rischia di crescere ansioso, insicuro e disorientato.

STILE EDUCATIVO AUTOREVOLE

Indubbiamente, lo stile educativo migliore è quello autorevole.

In questo caso, il rapporto genitore-figlio è caratterizzato da reciproco rispetto.

Le regole vengono definite in modo chiaro, tenendo conto anche delle esigenze del bambino e sono frutto di un processo di negoziazione.

Grazie a questo tipo di interazioni, il piccolo sviluppa una buona identità personale e impara ad auto affermarsi in modo costruttivo.

Come comportarsi con questi bambini? Alcune linee guida

  • Incoraggiare i comportamenti positivi: le punizioni non servono molto, è, al contrario, indispensabile rinforzare i comportamenti positivi, sottolineando e lodando quando il bambino si comporta bene. Si possono dare delle piccole ricompense, ad esempio figurine, per ogni comportamento corrette e al raggiungimento di un cerco numero di punti si può stabilire insieme un premio.
  • Essere costante: è importante che il bambino sia a conoscenza del fatto che ad ogni comportamento segue una determinata conseguenza. È inoltre fondamentale che il genitore tenga una linea coerente nell’educazione del figlio, condivisa con tutta la famiglia e anche con la scuola.
  • Stabilire limiti e creare aspettative: i bambini devono sapere quello che ci si aspetta da loro, spiegando con precisione le aspettative che si hanno.
  • Stabilire cosa fare quando manifesta comportamenti aggressivi, tenendo conto dell’età e della tipologia del comportamento. È fondamentale, anche in questo caso, tenere una linea comune e costante. La strategia più usata è quella di ignorare il comportamento o distrarlo. È utile spiegargli con calma le conseguenze delle sue azioni con calma. È importante non alzare il tono della voce e sgridarlo e lodarlo non appena smette di comportarsi in modo aggressivo, rinforzando quindi il comportamento positivo.

La famiglia diventa fondamentale nel processo si cura del bambino con problematiche comportamentali. Il terapeuta, oltre a lavorare con il bambino, aiuta i genitori ad essere più efficaci nella gestione delle dinamiche comportamentali che caratterizzano la quotidianità. Inoltre si lavora per costruire un ponte comunicativo anche con le insegnanti al fine di collaborare tutti perseguendo gli stessi obiettivi.

Bibliografia

  • Tani F. e Bagatti E. (2007), Il bambino aggressivo, Roma, Carocci
  • Sunderland M. (2003), Aiutare i bambini pieni di rabbia o odio, Trento, Erickson
  • Berry Brazelton, Joshua Sparrow, Il tuo bambino e… l’aggressività. Una guida autorevole per affrontare rabbia e collera, Raffaele Cortina, Milano, 2006
  • Daniele Novara, Litigare fa bene. Insegnare ai propri figli a gestire i conflitti, per crescerli più sicuri e felici, Rizzoli, Milano, 2015
  • Daniele Novara, Litigare per crescere. Proposte per la prima infanzia, Erickson, Trento

Socializzazione tra i bambini nella scuola dell’infanzia

Ogni relazione nella vita di una bambina e di un bambino è importante per il loro sviluppo, aiutandoli a crescere fino a diventare esseri umani a tutto tondo. 

Le prime interazioni coinvolgono inizialmente i genitori, i nonni, gli zii, i fratelli e poi, gradualmente, le relazioni con i pari e i compagni acquisteranno sempre maggiore importanza.

L’importanza della relazione al di fuori del contesto familiare è, infatti, fondamentale perché dà inizio a una nuova fase della vita nella quale saranno la bambina e il bambino a prendere per la prima volta consapevolezza della propria identità, distinta e unica, e di quella degli individui che fanno parte della loro nuova cerchia di amicizie. 

L’inizio della scuola dell’infanzia è un avvenimento tendenzialmente traumatico per i bimbi. Il distacco dai genitori non è semplice, così come non lo è abituarsi a nuovi ritmi, contesti e volti.

Ogni bambino, sia esso grande o piccolo, ha i propri tempi e un modo diverso d’agire, ragion per cui un buon educatore dovrebbe teoricamente essere in grado di capire chi ha bisogno di essere stimolato un po’ di più e incoraggiato alla socializzazione. 

Nel processo di socializzazione l’educatore deve mettere in campo empatia e capacità di indagine psicologica. Nei primi giorni di scuola destinati proprio all’inclusione, si potrebbe:

  1. organizzare un’attività da proporre a gruppi ristretti di bambini. 
  2. incoraggiare i bimbi ad impostare una sorta di mini-presentazione
  3. suddividere la classe in gruppi mirati
  4. far lavorare insieme quelli che sembrano aver qualcosa da condividere
  5. collaborare con un altro compagno nel gioco

E’ consigliabile prestare la massima attenzione nel processo d’inserimento degli alunni nella scuola materna. I bambini più chiusi ed insicuri debbano essere seguiti in maniera più accurata e specifica, ma senza mai correre il rischio che l’attenzione in più che viene riservata loro venga percepita dagli altri come manifestazione di una palese preferenza.

La socializzazione dopo i tre anni rappresenta un diritto e un bisogno e la scuola dell’infanzia è quindi un allenamento alla vita. Le famiglie grazie ad essa escono dall’isolamento ed entrano in una rete di legami. Inoltre, le relazioni in età prescolare sono importanti per lo sviluppo del cervello. Lo dice anche la neuroscienza (A. Pellai).

La scuola dell’infanzia obbligatoria a 3 anni potrebbe essere vista oggi come una risorsa necessaria per una generazione di bambini che in età prescolare si trova a vivere con sempre minor possibilità di contatto e relazione con bambini di pari età e a fianco di  adulti sempre più impegnati. Inoltre, la scuola dell’infanzia potrebbe rappresentare un luogo in cui adulti preparati e competenti sul piano educativo permettono ai bambini di vivere una porzione significativa della propria quotidianità in un ambiente in cui le esperienze in presenza, concrete e di gioco attivo vengono favorite e incentivate permettendo ai piccolissimi di non entrare nella deriva oggi sempre più precoce e crescente che li vede fare sempre più cose davanti e attraverso uno schermo.

INSERIMENTO AL NIDO fascia 0-3 anni

L’inserimento al nido è un momento di crescita per tutta la famiglia e porta con sé emozioni talvolta ambivalenti che possono essere accolte ed elaborate insieme al bambino.

L’ingresso al nido rappresenta il primo distacco significativo del bambino, che inizia a fare esperienze proprie, lontano dall’ambiente domestico e dai genitori. Si costituisce un nuovo equilibrio, che include la presenza importante di persone inizialmente estranee.

Quando si fa l’iscrizione al nido, il genitore dovrà considerare una serie di criticità da superare. Ecco qualche consiglio utile ai genitori per affrontare sereni e consapevoli il delicato passaggio evolutivo.

1. Coinvolgi il bambino nei preparativi

In base all’età del piccolo, chiedendo consiglio all’educatore, puoi proporgli delle letture o coinvolgerlo nei preparativi dei vestiti o del materiale da portare.

2. Trasmettigli serenità

Entra in struttura sempre con il sorriso. Considera la psicologia del bambino: attraverso la comunicazione non verbale lo aiuterai a capire che deve stare tranquillo, che non sta accadendo nulla di cui preoccuparsi e che tu sei sereno e ti fidi degli educatori. 

3. Rendi il distacco meno traumatico

Per aiutare il piccino ad affrontare i primi momenti, può essere utile attuare qualche piccola strategia. Ad esempio spruzzare il profumo della mamma sui vestiti, affidargli un oggetto da custodire dicendogli che potrà ridarglielo al ricongiungimento, disegnare un cuore o un bacio su un bigliettino che il bimbo potrà tenere in tasca e tirare fuori nei momenti di nostalgia (o anche una foto di famiglia).

4. Saluta sempre il tuo bambino

Non andare mai via di nascosto senza salutare il tuo bambino: “Ciao io vado, bevo un caffè e poi torno e andiamo insieme al parco”.

Così, vedendoti andare via, magari il bambino piangerà, ma col tempo imparerà a gestire questa situazione senza sentirsi abbandonato.

5. Quando decidi di andare, vai

Non fare l’errore di tornare indietro se senti il bambino piangere. Innescherai in lui un meccanismo negativo: non si sentirà in grado di gestire la situazione in tua assenza.

6. Accogli il piccolo con entusiasmo

Quando ritorni, abbraccialo, digli che anche lui ti è mancato, che sei contento di vederlo e chiedigli di raccontarti com’è andata la giornata.

7. Ascolta le emozioni del tuo bambino

Fagli sentire che, se è triste o arrabbiato, lo capisci e col tempo tutto andrà meglio. Se è felice, digli che anche tu lo sei.

8. Collabora con gli educatori

Crea con gli educatori un rapporto di collaborazione e alleanza educativa. È importante che il bambino senta fin da subito che genitori ed educatori stanno lavorando insieme e seguono una linea comune. Ad esempio, se all’asilo si sta seduti a tavola a mangiare è bello che anche a casa il bambino possa ritrovare la medesima situazione. Se hai dubbi di qualsiasi tipo non tenerli dentro e non darti delle risposte da solo: confrontati sempre con gli educatori.

Ricorda l’inserimento non è un percorso che riguarda solo il bambino, ma un processo graduale di adattamento che interessa tutta la famiglia. Certo, tuo figlio è il più coinvolto perché deve affrontare un ambiente nuovo e persone nuove senza la presenza rassicurante di mamma o papà. Ma anche tu devi affrontare cambiamenti importanti: una diversa routine familiare, nuovi orari, nuove persone. Soprattutto, devi abituarti all’idea di affidare il bambino alle cure di altri, senza vedere quello che succede.

Come rendere naturale e felice l’inserimento al nido? Prova a “portare il nido a casa”, rendere il nido un luogo familiare per tuo figlio. E, prima, per te. Come? Cerca di sapere il più possibile: fai domande alle educatrici, esprimi i tuoi timori, chiedi quello che tuo figlio farà al nido (orari, giornata tipo, attività previste), visita la mensa, la stanza del riposino, il bagno. Chiedi il nome delle educatrici, così potrai parlarne al bambino prima che le incontri. 

Lo scambio di informazioni tra genitori ed educatrici deve continuare anche dopo l’inserimento: quando riprendi il bambino fermati qualche minuto per chiedere come è andata la giornata, e non solo per le domande di rito sul mangiare e sul sonno. Sapere se tuo figlio ha dipinto, ha ballato o si è fatto un nuovo amico è importante per poterne poi parlare a casa ed essere parte della sua vita al nido. 

AUTOSVEZZAMENTO: ESPLORIAMO UN NUOVO MODO DI MANGIARE

Autosvezzamento

Il bambino non ha bisogno di seguire un’alimentazione particolare per passare dal latte ai cibi solidi: si avvicinerà da solo e progressivamente a quello che mangiano i genitori.

L’autosvezzamento (tecnicamente “alimentazione complementare a richiesta”) consiste nel rimettere il bambino al centro dello svezzamento, affidandosi alla sua capacità innata di autoregolazione e fidandosi delle sue competenze. È inoltre un’occasione per migliorare la dieta, e quindi la salute, di tutta la famiglia. Si tratta di una modalità di introduzione dei cibi solidi nella dieta del lattante che non prevede la preparazione di pappe ad hoc, ma il libero accesso del bambino, sotto un attento controllo da parte dei genitori, alla mensa di tutta la famiglia. Spinto dalla sua naturale curiosità e dall’istintiva tendenza a imitare gli adulti, il piccolo inizia ad assaggiare spontaneamente il cibo “dei grandi”, nella modalità (imboccato, con le proprie mani o utilizzando da solo le posate) e nella quantità che preferisce. 

Come e quando iniziare l’autosvezzamento?

Per dare il via all’autosvezzamento è importante aspettare che il bambino sia in grado di stare seduto bene da solo e che manifesti interesse nei confronti del cibo che mangiano i genitori (in media, questo avviene non prima dei sei mesi di età). L’altra condizione fondamentale da rispettare è la salubrità degli alimenti portati in tavola: il consiglio è quello di fare riferimento alla piramide alimentare alla base della dieta mediterranea.

Cosa si intende per autosvezzamento?

A differenza dello svezzamento che normalmente viene iniziato al sesto mese, l’autosvezzamento è un processo che segue la maturazione psicofisica del bambino: è solo lui che, dimostrando interesse per il cibo, decide quando iniziare.

Se si decide di procedere con l’autosvezzamento, anziché con lo svezzamento tradizionale, è consigliabile avvicinare il seggiolone alla propria tavola, lasciando così che il piccolo cominci a incuriosirsi al cibo che vede e annusa nel piatto dei genitori.

L’autosvezzamento aiuta il tuo bambino ad imparare che il cibo sazia riempendo la pancia, per cui gradualmente richiederà sempre più solidi, deprimendo lentamente e in totale naturalezza la richiesta del latte.

Regole da seguire

  • Non insistere con le proposte di assaggio quando il bambino smette di chiederle spontaneamente.
  • Evitare di cambiare i ritmi e la durata dei pasti familiari, ai quali il piccolo si adeguerà naturalmente prendendo senza sforzo il loro ritmo.
  •  Proseguire l’allattamento materno a richiesta per tutto il tempo in cui la mamma e il bambino saranno d’accordo nel continuarlo.
  • Tenere presente che l’organismo del piccolo è ancora in via di sviluppo e non è in grado di digerire e assimilare ogni tipo di alimento. Il bimbo non può essere considerato un “piccolo adulto” e le sue necessità alimentari differiscono in modo rilevante da quelle dei grandi. Quindi, niente alimenti dai gusti molto forti, come quelli piccanti o salati, e sì a piccoli assaggi, della giusta consistenza e dimensione.
  • Deve valere la regola della varietà: almeno una fonte di carboidrati (ad esempio, semolino, riso o pastina), una di proteine (carne, pesce , uovo, formaggio, legumi passati) e frutta e verdura per l’apporto vitaminico.

Ricette per l’autosvezzamento

In realtà, quando si sceglie la strada dell’alimentazione complementare, conta soprattutto il modo in cui si preparano gli alimenti, la qualità degli ingredienti e le tecniche di cottura (semplici, leggere, con poco o niente sale). Molte ricette per l’autosvezzamento sono di fatto normalissime preparazioni presenti sulla tavola di molte famiglie, a prescindere dalla presenza e dall’età dei figli. 

I segnali di svezzamento

quando è in grado di stare seduto da solo senza alcun sostegno. Quando non ha più il riflesso di estrusione della lingua (cioè, quando non spinge con la lingua fuori dalla bocca quello che sta ciucciando).

Ecco la nostra lista dei 5 accessori indispensabili per lo svezzamento del neonato:

  • Seggiolone pappa. Il seggiolone per la pappa permette di mangiare in modo divertente e sicuro tutti insieme a tavola.
  • Bavaglino. Il bavaglino è l’accessorio che evita al bambino di sporcarsi.
  • Posate e stoviglie.
  • Tazza.
  • Piatto diviso in comparti.

I genitori devono imparare ad ‘ascoltare’, evitando di imporre il cibo o di usarlo come ‘consolazione’. Per quanto riguarda i dubbi sui piatti troppo complessi, bisogna ricordare che i bambini spontaneamente evitano alimenti molto salati, speziati o dai sapori forti. Del resto questa fase deve essere anche l’occasione perché la famiglia faccia una revisione delle abitudini culinarie, rendendole più equilibrate, proprio per condividere il pasto con il piccolo di casa.

L’autosvezzamento, inoltre, stimola l’intera famiglia a mangiare in modo sano ed equilibrato, semplifica la gestione dei pasti in viaggio e permette di evitare i costi, spesso importanti, legati all’acquisto del baby food industriale. Senza contare i benefici per l’ambiente: niente vasetti e altri imballaggi, zero sprechi, meno consumi energetici per la preparazione e la conservazione delle pappe.

LINK

https://drive.google.com/file/d/0Bz1116h6l2TTcTltd3MyeFc2a1U/view?resourcekey=0-iFlMBKkE2tinKW8vczlbkw https://www.autosvezzamento.it/

PAGINE INSTAGRAM

https://www.instagram.com/explore/tags/autosvezzamento/?hl=it

https://www.instagram.com/autosvezzamento_con_gusto/

https://www.instagram.com/pianetaautosvezzamento/

LIBRI

L’agorafobia nei bambini

L’agorafobia è rara tra i bambini, ma può svilupparsi anche negli adolescenti, in particolare quelli che hanno attacchi di panico o di ansia sono i più colpiti. Durante una tipica situazione agorafobica in fila per aspettare il proprio turno al parco, seduti in mezzo a una lunga fila in una classe, alcuni bambini hanno attacchi di panico; altri semplicemente si sentono a disagio.

ARTMAJEUR

La vita di ogni giorno può portarci a sperimentare situazioni in cui ci ritroviamo immersi nella folla tra persone di ogni genere: può trattarsi del tragitto quotidiano che compiamo per andare a scuola con i mezzi pubblici come metropolitane o autobus, o se decidiamo di andare a fare spese in un centro commerciale molto frequentato.

Affinché venga diagnosticata l’agorafobia, i pazienti devono avere costantemente paura o ansia irragionevoli per ≥ 2 dei seguenti per ≥ 6 mesi:

  • Usare i mezzi pubblici (autobus, metro, tram, macchina)
  • Stando in spazi aperti (parchi, fattorie, campi, mare)
  • Stando in spazi chiusi (casa, ascensori, musei)
  • Fare la fila o trovarsi in mezzo alla folla (scuola, concerti, supermercati)
  • Trovandosi fuori casa da solo (campo-scuola, campo-estivo, gita)

La prevalenza del disturbo nei 12 mesi tra gli adulti e gli adolescenti è del 1,7%. Sono di norma più colpite le femmine (il rapporto è di 2:1), mentre non vi sono significative differenze su base etnica.
La sintomatologia agorafobica può verificarsi anche in età infantile, ma il picco di incidenza si ha tra la tarda adolescenza e la prima età adulta (in 2 casi su 3 l’esordio avviene prima dei 35 anni).

Inoltre, la paura è tale che i pazienti evitano le situazioni di stress e ansia che creano questo disagio fino ad avere una compromissione del normale funzionamento cioè evitando completamente di fare quella determinata cosa o situazione.

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L’ansia non è in sé un disturbo, ma è piuttosto un meccanismo di adattamento (come il dolore).

Ci deve avvisare, per tempo, di un potenziale pericolo, e lo fa benissimo, in un certo senso.
Tuttavia questo meccanismo così utile, sul piano dell’evoluzione della specie, può finire per venire applicato in maniera impropria: il soggetto evita uno stimolo che viene via via interpretato come sempre più pericoloso non perché lo sia oggettivamente, ma perché quando esso è presente l’ansia compare e quando non è presente l’ansia se ne va.

La conseguenza “logica” di tali paure e di tale malessere è pertanto l’evitamento: il soggetto agorafobico inizia a restringere le proprie frequentazioni di luoghi e situazioni ed i propri spostamenti, riducendo sempre più la propria autonomia ed il proprio “spazio di comfort”.

Possiamo definire “logica” questa scelta (ma la virgolettiamo) perché risponde ad un basilare principio di adattamento delle specie animali: evitare ciò che fa male e perseguire ciò che fa bene.

Trattandosi di un disturbo che può implicare delle limitazioni anche importanti nelle persone (a forza di restringere il proprio spazio di sicurezza, alcune persone si trovano a loro agio nella propria casa ed in pochi altri ambienti ritenuti “familiari”), può esservi un significativo rischio di avere gravi conseguenze sulla propria vita personale, familiare e professionale.

– Il bambino che non mangia al nido –

Care mamme,

chi mi conosce sà quanto per me sia caro questo argomento.

Abbiamo superato lo svezzamento e l’auto-svezzamento, il ritorno al lavoro e ai ritmi, siamo sopravvissute all’inserimento al nido, abbiamo iniziato a costruire un minino di equilibrio e di organizzazione ma quando andiamo a riprendere nostro figlio a scuola l’educatrice ci accoglie dicendo “oggi il piccolo non ha mangiato”, qualcosa dentro di noi si rompe e inizia la preoccupazione e le mille domande: cosa avrò sbagliato?

Il primo pensiero è legato al senso di colpa per il ritorno al lavoro, per averlo portato al nido, per essere felici di poter prendere il caffe con le colleghe. Tutto lecito e fisiologico. le mamme convivono con i sensi di colpa. Facciamocene una ragione.

Come iniziare a capire cosa non funziona?

  • capire se il modo in cui l’asilo somministra i pasti è uguale alle abitudini del bambino o se è diverso.
  • Il bambino mangia in braccio ed è intrattenuto, mangia da solo liberamente e si sporca o mangia aiutato e imboccato.
  • Il nido è un contesto in cui si sviluppa più autonomia e questo può destabilizzare.

L’inserimento al nido è un processo molto lungo e molto difficile, che non si conclude nel momento in cui il bambino smette di piangere la mattina in braccio alle sue educatrici.

Care mamme,

dobbiamo avere la pazienza di aspettare che tutte le fasi della giornata lontano da casa diventino per lui una quotidianità, una routine rassicurante e accettata tanto quella che trascorre con mamma e papà a casa sua protetto.

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Il confronto con le educatrici resta il modo migliore per capire, cercare e trovare l’eventuale presenza di un problema e concordare una linea di condotta insieme.

Porsi dei quesiti è giusto:

  1. Il non mangiare è un evento occasionale?
  2. E’ legato alla somministrazione di particolari cibi?
  3. Il bambino è raffreddato?
  4. L’orario del pranzo coincide con l’orario a cui il bambino ha sonno?
  5. Il bambino viene esortato a mangiare?

L’importante è non forzarlo, non rimproverarlo, non dare troppa importanza al suo saltare i pasti al nido, non cercare strattagemmi, non ricorrere a particolari lusinghe perché il rischio insito nell’affannarsi per far mangiare un bambino quando non vuole è di sortire l’effetto opposto a quello sperato.

Pur nel rispetto dei rispettivi approcci educativi del nido e della famiglia, è necessario tener presente che le piccole regole che vengono adottate dal nido servono a garantire il sereno svolgimento della giornata e delle sue routine.

Il timore che comprendo bene è che il bambino possa fare lo sciopero della fame per tutto il tempo in cui è al nido e ciò ci spaventa, ma come dice mia madre: “hai mai visto uno di 18 anni che non mangia? ..mangerà!”

Il bimbo non deve sentire alcuna preoccupazione da parte degli adulti. Sta esprimendo il suo disagio e la sua rabbia durante il momento del pasto. Non mangia perchè ancora non ha trovato la sua serenità, ha bisogno di tempo per fidarsi e conoscere il nuovo ambiente.

Cerchiamo di dare fiducia al nostro bimbi lasciandogli il tempo di ambientarsi in una realtà nuova sconosciuta e a volte diversa. Accogliamo anche la possibilità che preferisca mangiare in famiglia invece che in un altro posto.

PS: ricordiamoci che le vitamine migliori per incrementare l’appetito nei bambini sono quelle appartenenti al gruppo B in quanto modulano efficacemente la sensazione di appetito. Le vitamine B hanno l’importante ruolo di trasformare l’energia assunta dal cibo in energia utilizzabile dall’organismo.

In bocca al lupo a tutte!

SQUID GAME – Pericolo Emulazione adolescenti –

Squid Game è la nuova serie TV sudcoreana di successo mondiale scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, composta da nove episodi.

E’ stata interamente pubblicata sulla piattaforma di streaming Netflix  il 17 settembre 2021 ed è diventata soprattutto un caso oggetto di polemiche e allarmi da parte delle istituzioni.

Dalla contea di Bedfordshire in Inghilterra, al Belgio, fino in Italia, Piemonte, Cremona, Roma la serie ha cominciato a spopolare e ad essere vista anche da un numero sempre maggiore di adolescenti e bambini delle elementari.

La serie TV è già vietata ai minori di 14 anni, come ben visibile anche dalla sua pagina sulla piattaforma di streaming, ma il timore di insegnanti e genitori, è che qualche adolescente riesca comunque a vederla approfittando del mancato blocco della tv.

La trama della serie tv è un gioco mortale cui partecipano centinaia di persone con problemi finanziari, che accettano uno strano invito a una competizione fatta di giochi per bambini come ‘1,2,3 stella’, ma dove chi perde muore. 

A dare l’allarme sono stati alcuni genitori ed insegnanti che hanno visto giocare i propri bambini in cortile a un due tre stella in una nuova versione: chi perde viene eliminato con il gesto dello sparo o lo si prende schiaffi, o addirittura si esce dal gruppo whatsapp in segno di eliminazione. Nella serie, si viene uccisi.

Il grande problema è che l’emulazione possa allargarsi, è importante che i più piccoli non vedano Squid Game. Il problema in queste ore starebbe anche riguardando l’Italia, con diverse associazioni di genitori che chiedono maggiori controlli.

C’è stato un aumento negli ultimi giorni della percentuale di bambini e adolescenti invischiati in competizioni violente ispirate a Squid Game.

I bambini imparano molto per imitazione soprattutto da coetanei e adulti. I personaggi vincenti, che hanno un potere sugli altri, attirano molto la loro attenzione, perché essi si percepiscono in una posizione di inferiorità rispetto agli adulti. Si percepiscono inferiori perchè ancora devono imparare dalla vita e cercano di farsi vedere, cercando di vincere per attirare l’attenzione e per ottenere privilegi. Non si deve vincere, eliminando qualcuno e non provando pietà.

Un adolescente può essere imprudente perché sottovaluta il rischio, ma può anche esserlo perché sopravaluta la ricompensa che dal rischio può derivare, come mostrare il proprio coraggio, essere ammirato dagli amici, avere il loro consenso e il loro rispetto. Questo rispetto però deve essere conquistato lealmente attraverso il gioco sano e non un gioco alla sopravvivenza, dove chi muore non è degno neache di un riconoscimento.

I 6 giochi della serie tv sono:

-Semaforo rosso, semaforo verde: si tratta di quello che comunemente chiamiamo ‘Un, due, tre… stella

Favi di zucchero: il più famoso gioco del Ppogi ogni concorrente ha un barattolo di latta circolare, con al suo interno un pezzo di zucchero, una caramella che mangiano i bambini coreani tra una partita e l’altra al parco.

Tug-of-War: si tratta del gioco che per noi è il tiro alla fune, il Juldarigi che si pratica con corde grosse e la squadra che vince assegna prosperità al villaggio.

Marmi: è il gioco delle biglie. 

Glass Stepping Stone: ci sono due ponti, uno con il vetro temperato e uno con il vetro normale. 

Squid Game: gioco di strada tipico dei bambini della Corea del Sud, i partecipanti sono divisi in difesa e attacco, è il classico gioco del calamaro.

Nella realtà, quando si gioca, si simula, c’è finzione, si può tornare indietro, imparare lealmente e ripartire. In Squid Game, invece, le conseguenze per chi sbaglia, per chi perde, per chi non rispetta le regole non hanno niente a che vedere con l’infanzia, non sono minimamente adatte e adeguate per gli adolescenti, perchè chi sbaglia muore brutalmente e basta.

La violenza attira, mette in circolazione adrenalina, suscita emozioni forti, questo è il motivo per cui la violenza può avere la meglio sulla paura e anche sul senso di pietà nei confronti delle vittime.

Sqid Game è una serie tv che deve essere vista da un pubblico maturo e capace di discernere la finzione dalla realtà.

La Corea del Sud è il paese del mondo in cui gli e-sports sono più diffusi e importanti, uno dei pochi paesi ad avere una propria nazionale di videogiochi e che domina in quasi tutte le competizioni. Quindi non solo il gioco è una componente importante della società, ma proprio il videogioco è una delle attività più in crescita, diffusa e guardata.

La notizia finale è che Squid Game forse diventerà anche un videogioco

Qual è l’età giusta per iscrivere il bimbo al nido?

ASILO NIDO, DA CHE ETÀ?

Solitamente un nido si divide in tre sezioni:

  •  LATTANTI (0-12 mesi)
  •  SEMIDIVEZZI (12-24 mesi)
  •  DIVEZZI (24-36 mesi).

Non esiste un’età precisa per iscrivere i bimbi al nido, L’ideale sarebbe poter tenere a casa il bambino fino a 18 mesi. Dopo l’anno e mezzo di età, infatti, i bambini si adattano più facilmente alle novità, riescono a socializzare meglio e ad apprezzare la vita e i giochi insieme ai coetanei. 

Quale che sia la modalità più corretta da intraprendere per un buon inserimento è definita dalle competenze e dalla professionalità di chi le applica.



Fondamentale è rispettare il benessere del bambino e accogliere tutte le emozioni che presenta.

Le attività, oltre a stimolare lo sviluppo senso-motorio del bambino, favoriscono lo sviluppo delle seguenti capacità:

  • Logico-pratiche (manipolazione di pongo, plastilina, carta, stoffa, carta crespa)
  •  Logico-sensoriali (giochi di classificazione a riordinare oggetti per grandezza, forma e colore)
  •  Espressive (canzoncine abbinate a movimenti, strumenti musicali, colori a cera, a dita e tempere)
  • Affettive (bambole, peluche, piatti, tazzine e pentole di plastica)

È importante che il bambino sia pronto a questo passaggio. Già dai giorni prima dell’inserimento è bene che gli si parli del fatto che andrà all’asilo e raccontargli che cosa farà, dicendogli che ci saranno altri bambini con cui potrà giocare e descrivergli l’ambiente in cui sarà inserito.

I bambini, soprattutto se piccoli, comunicano con il pianto. Bisogna comunicare a loro che per il momento stare all’asilo è faticoso, ma che poi staranno bene. Un inserimento difficile all’asilo può comportare anche un rifiuto del cibo da parte del bambino. La strategia migliore è quella di lasciare stare il bambino, che sicuramente riprenderà a mangiare normalmente quando sarà più sereno. Se invece non dorme, meno saremo preoccupati noi, più il bimbo avrà la possibilità di stare bene e riprendere la sua normale routine. Il sonno è una vera e propria esperienza di separazione.

 Ci sono poi quei piccoli che manifestano la tensione dell’inserimento con un’eccessiva agitazione, irrequietezza manifestando addirittura atteggiamenti ipercinetici per un certo periodo. Dobbiamo comunque leggere questi comportamenti come l’espressione di un disagio che comunque accompagna qualsiasi adattamento ad uno nuova situazione: ogni bambino ha i suoi tempi e le sue modalità di reazione e difesa.

Importantissimo nella fase di inserimento è soprattutto il fornire al bambino la figura dell’educatrice di riferimento in modo che possa capire chi si prenderà cura di lui e chi lo conterrà nei momenti di sconforto visto che la mamma non ci sarà.

Bisogna sempre affrontare con fermezza e calma quelle che sono le difficoltà che un inserimento comporta. La mamma deve essere la prima a sentirsi pronta nel separarsi dal bambino affinché lui possa accettare questa esperienza. 

Per ulteriori informazioni rivolgersi a Dottoressa Chiara Patruno cell. 3472439780

Adolescenti e ALCOL

L’abuso di alcol è la prima causa di morte al di sotto dei 25 anni. 

In Italia, secondo la “RELAZIONE DEL MINISTRO DELLA SALUTE AL PARLAMENTO SUGLI INTERVENTI REALIZZATI AI SENSI DELLA LEGGE 30.3.2001 N. 125 “LEGGE QUADRO IN MATERIA DI ALCOL E PROBLEMI ALCOL CORRELATI”  del 2020, nel 2019 il 77% degli Italiani dagli 11 anni in su e il 56% delle Italiane.
Nel nostro Paese,  la Legge 8.11.2012 n.189 vieta la vendita e la somministrazione di alcolici ai minori di 18 anni (Ministero della salute).

Sebbene l’abuso di alcol sia dannoso a qualunque età, il danno è maggiore per il bambino e l’adolescente. Con l’abuso di alcol il sistema cerebrale, fisiologicamente non del tutto maturo, e l’inefficacia dei meccanismi di metabolizzazione e smaltimento delle bevande alcoliche, mettono a rischio la salute di tutto l’organismo, in particolare possono verificarsi seri danni alla struttura e al funzionamento del cervello.

Dopo la fine del lockdown ci sarebbe stata una notevole impennata degli accessi per intossicazione alcolica acuta grave, spesso associata ad abuso di altre sostanze stupefacenti, di adolescenti nei Pronto Soccorso degli ospedali Italiani (salute.gov.it).

Il consumo e l’abuso di alcol fra i giovani e gli adolescenti è un fenomeno preoccupante e in forte crescita, in Italia come all’estero. La cultura del bere attualmente diffusa tra gli adolescenti segue sempre più spesso standard indirizzati verso modelli di “binge-drinking” ossia il bere per ubriacarsi.

Ci sono ragazzi che bevono anche 5 o 6 cocktail consecutivi, ben oltre il proprio limite di tolleranza, allo scopo di ubriacarsi. Non sono pochi e lo fanno anche più volte a settimana: stando agli ultimi dati, raccolti da un’indagine Doxa, sono il 20% dei maschi con più di 13 anni e l’8,6% delle femmine (ANSA).

I ragazzi, sempre più spesso, si mettono a rischio, partecipano a giochi alcolici in gruppo, si sfidano ai drink-game, anche sui social network, si fotografano e si riprendono mentre sono sbronzi, vomitano e si sentono male. Lo fanno perché sono alla continua ricerca di sballo, di sensazioni forti e hanno bisogno di sperimentarsi, oppure perché vengono sfidati dagli altri e vogliono sentirsi parte del gruppo; in ogni caso, il più delle volte, non si rendono conto delle conseguenze e dei rischi (rainews, fondazione veronesi).

L’Istituto Superiore di Sanità, in occasione della Giornata 2011 dedicata alla prevenzione, ha diffuso dei dati preoccupanti sui giovanissimi, specie sulle adolescenti, che aumentano il consumo fuori pasto di superalcolici. Si diffondono pratiche assurde come l’eyeballing: si crede che l’alcol si assimili più rapidamente se versato negli occhi, e il risultato non è lo sballo sperato, ma la cornea rovinata.

Ciò che porta un adolescente al consumo spasmodico di alcol può essere motivato a svariate motivazioni psicosociali. L’alcol, e le sue deleterie mode, rappresentano soltanto uno dei metodi privilegiati per i giovani di stare insieme ai suoi pari e costruire con essi un processo identitario (Candio et al., 2012 Documentazione degli effetti dell’uso di alcol sul cervello in adolescenza).

Se adeguarsi al gruppo e divertirsi sono le ragioni più indicate (49%) tra quelle per le quali un adolescente consuma bevande alcoliche, subito dopo troviamo il “dimenticare i problemi” (44,6%). E le difficoltà, per un adolescente, sono spesso legate al rapporto con la famiglia. 

L’importanza della cornice familiare e ambientale nel condizionare l’evoluzione dei comportamenti giovanili, una famiglia presente, e affettivamente solida, condiziona favorevolmente la crescita dei ragazzi, tutelandoli anche dagli eccessi indotti dal gruppo dei pari (Osservatorio permanente sui giovani e l’alcool).

Bisogna lasciare che gli adolescenti sperimentino ma con dei limiti, senza allarmismi ma senza sottovalutare o banalizzare. È importante porsi ad una giusta distanza e mantenere sempre un occhio vigile in modo tale da intervenire, qualora fosse necessario, aiutandoli a rimettersi sulla giusta via prima che il comportamento occasionale diventi sempre più abituale e pericoloso.

Comunicare con un figlio è dare spazio di ascolto. Non è subissarlo di parole, ma saperlo ascoltare. Quando parla e quando tace, perché non solo le parole portano messaggi, ma i comportamenti, i silenzi, gli umori.

Per informazioni e per i primi contatti psicologici rivolgersi a: Dott.ssa Chiara Patruno Psicologa-Psicoterapeuta 3472439780

Adolescenti: violenza autoinflitta, tagli, cutting, aggressività e suicidi.

In questo momento di ripresa da una emergenza Sanitaria, il Paese sta vivendo una trasformazione, e questo avviene anche a livello mentale, soprattutto nei più giovani. Gli adolescenti manifestano violenza autoinflitta, con dei numeri preoccupanti, soprattutto dopo la pandemia da Covid-19.

Il tasso di suicidio annuo a livello mondiale è pari a circa 11 persone ogni 100.000 abitanti (fonte Oms), costituendo l’1,5 % di tutte le cause di morte e la seconda causa di morte nei giovanissimi tra i 15 e i 24 anni e l’autolesionismo colpisce in Europa circa 1 adolescente su 5 (fonte Oms)

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il rischio di suicidio è spesso connesso ai disturbi d’umore o alla presentazione di una depressione grave, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 12 e i 26 anni. Bambini e ragazzi, per la delicata fase evolutiva che stanno attraversando, sembrano essere particolarmente esposti e il Covid non ha migliorato la situazione.

Durante la pandemia i ragazzi in didattica a distanza sono stati sovraesposti a fattori di stress e le misure di contenimento hanno determinato una marcata interruzione della routine quotidiana, ciò ha causato isolamento. La mancanza di relazioni non virtuali, l’assenza dalla scuola e una situazione di stress prolungato hanno inciso pesantemente su un equilibrio psicologico che, per alcuni, è stato precario. Nel secondo lockdown i ragazzi sono stati spesso soli, più che nel primo.

Gli adolescenti mostrano un corpo già segnato: gambe, braccia, addome sfregiati da lamette e coltelli. Tagli longitudinali, più o meno profondi, spesso all’altezza delle vene, raccontano l’inferno invisibile dell’autolesionismo e dei tentativi di suicidio tra gli adolescenti

Presso l’Osservatorio Neuro Psichiatrico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù il numero delle consulenze specialistiche per ideazione suicidaria e tentativo di suicidio è quasi raddoppiato, così come le ospedalizzazioni per tali motivi: passate dal 17% nel gennaio 2020 al 45% del totale nel gennaio 2021 (fonte Corriere della Sera e Repubblica 2021). In questo momento storico aumenta il rischio di cronicizzazione dei disturbi psichiatrici ad esordio in età evolutiva.

Ma perchè gli adolescenti si tagliano? Questo comportamento sarebbe in grado di contenere la loro angoscia interiore. È un fenomeno molto diffuso e sottovalutato, spesso associato a un disturbo mentale di tipo depressivo.

Nell 80% dei casi c’è una depressione o un disturbo dell’umore dietro le malattie mentali dietro questo tipo di manifestazioni. C’è una forte base genetica, una familiarità, che è il primo fattore di rischio, ma ci sono anche fattori di protezione socio-ambientali, che possono favorire o meno la manifestazione del rischio biologico. Ad esempio, i traumi ripetuti nell’infanzia, l’incapacità e la difficoltà a costruire delle relazioni valide, la difficoltà a gestire le nostre emozioni.

I giovani si chiudono sempre di più dentro casa, dentro la stanza, trascorrono ore ai videogiochi senza nessun interesse sociale. Vivono l’inutilità della relazione e confinano sempre più questo mondo ai tablet o agli strumenti tecnologici. Gli adolescenti di oggi sono cresciuti in famiglie più affettive e relazionali rispetto a un tempo e una delle conseguenze è che crescendo sono più fragili e di fronte a un fallimento o a una delusione questi ragazzi crollano.

Un genitore può essere un elemento che rinforza le capacità dei figli, oppure no. Ci sono genitori giudicanti o non giudicanti. Bisogna esserci, accettando l’idea che gli adolescenti non vogliano parlarci e attendere il momento giusto attuando un contenimento. Mostrando forza, capacità e sostegno che il ruolo educativo dei genitori richiede.

In tali casi è sempre consigliabile chiedere aiuto ad uno specialista nel settore. Per informazioni e appuntamenti: Dott.ssa Chiara Patruno 3472439780