Nel linguaggio comune il termine aggressività viene usato per indicare comportamenti molto diversi tra di loro. In generale, per considerare aggressivo un comportamento, il bambino deve agire con l’intenzione di creare disagio agli altri, siano essi coetanei o adulti.
Nei primi anni di vita l’aggressività è generalmente legata alle limitate abilità sociali dei bambini e si manifesta soprattutto a livello motorio e in modo indifferenziato. Un bimbo di tre anni al quale è stato rubato un gioco di mano può reagire con una forte scarica emotiva e mettersi a urlare, a scalciare, a mordere o picchiare il compagno che si è appropriato dell’oggetto che aveva in mano poco prima.
Durante il periodo della scuola dell’infanzia (3-6 anni) le aggressioni fisiche diventano meno frequenti perché il bambino esprime le proprie esigenze anche attraverso il canale verbale, impara progressivamente a rimandare la gratificazione di un desiderio e soprattutto capisce che negli scambi tra coetanei l’aggressività fisica non è accettata.
Cresce il sentimento dell’empatia e gli adulti danno chiari segnali in merito ai comportamenti che possono essere tollerati e a quelli che verranno puniti. D’altro canto, però, il bambino impara che è possibile “colpire” l’avversario con prese in giro o insulti.
I comportamenti aggressivi nei bambini si manifestano attraverso la disobbedienza agli insegnanti, spesso si inventano storie mai accadute, mentono, si mettono nei guai, si comportano in modo tale da infastidire le altre persone e cercano uno scontro fisico e/o verbale con i compagni.
Quello che conta nell’insorgenza di problematiche comportamentali aggressive, oltre al temperamento del bambino o dell’ambiente esterno, è lo stile genitoriale negativo. In particolare, è stato rilevato che quando i genitori esprimono emozioni negative dirette al proprio figlio e quando ci sono conflitti tra la mamma e il bambino, si creerebbe un circolo vizioso in cui la negatività della madre suscita alti livelli di rabbia, nervosismo e ostilità nel piccolo, che, così facendo, a sua volta, stimola ancora più ostilità nella madre stessa. Di conseguenza i bambini, con il passare del tempo, diventerebbero incapaci di regolare le proprie emozioni negative quando queste si manifestano nel gruppo dei pari, portandoli ad agire in modo aggressivo.
Ricerche recenti hanno dimostrato che alcuni stili educativi favoriscono, più di altri, l’emergere di condotte aggressive nei bambini.
STILE AUTORITARIO
Un genitore autoritario, che impone al figlio una serie di regole rigide, stabilite a priori e imposte dall’alto (“A tavola non si gioca con la forchetta perché lo dico io!”) e che adotta metodi di punizione coercitivi, nei termini di denigrazione e costrizione fisica, finisce per generare nel bambino un forte senso di frustrazione e di impotenza.
Inoltre l’adulto, ponendosi come modello di comportamento violento, legittima la messa in atto di condotte aggressive anche da parte del figlio.
Alcuni genitori considerano la vita una lotta continua e trasmettono ai bambini la convinzione che sia necessario affrontarla con tutta l’aggressività di cui si dispone per evitare di venire assoggettati, umiliati o persino emarginati. Così facendo connotano il comportamento aggressivo positivamente, annoverandolo tra le modalità utili per farsi strada nella vita, per dimostrarsi coraggiosi e capaci di battersi per far valere le proprie ragioni.
STILE PERMISSIVO
D’altro canto, uno stile educativo permissivo, che non propone regole chiare di comportamento, che concede al bambino molte trasgressioni, che cerca di evitare al piccolo ogni forma di frustrazione, gli impedisce di acquisire sufficiente sicurezza in se stesso e capacità di autoaffermazione.
Il genitore permissivo spesso supervisiona poco le frequentazioni del figlio e ciò aumenta la possibilità che il ragazzo incontri nel gruppo modelli di condotta scorretti.
STILE EDUCATIVO INCOERENTE
Altri genitori adottano uno stile educativo incoerente, alternando atteggiamenti permissivi e autoritari in modo apparentemente casuale.
Al mattino, quando sono carichi di energia, prestano attenzione ai minimi dettagli e richiamano il bambino per ogni sciocchezza, mentre alla sera, dopo una lunga giornata di lavoro, concedono al figlio ogni cosa purché non urli e faccia capricci. Anche in questo caso il bambino, privo di chiari punti di riferimento, rischia di crescere ansioso, insicuro e disorientato.
STILE EDUCATIVO AUTOREVOLE
Indubbiamente, lo stile educativo migliore è quello autorevole.
In questo caso, il rapporto genitore-figlio è caratterizzato da reciproco rispetto.
Le regole vengono definite in modo chiaro, tenendo conto anche delle esigenze del bambino e sono frutto di un processo di negoziazione.
Grazie a questo tipo di interazioni, il piccolo sviluppa una buona identità personale e impara ad auto affermarsi in modo costruttivo.
Come comportarsi con questi bambini? Alcune linee guida
- Incoraggiare i comportamenti positivi: le punizioni non servono molto, è, al contrario, indispensabile rinforzare i comportamenti positivi, sottolineando e lodando quando il bambino si comporta bene. Si possono dare delle piccole ricompense, ad esempio figurine, per ogni comportamento corrette e al raggiungimento di un cerco numero di punti si può stabilire insieme un premio.
- Essere costante: è importante che il bambino sia a conoscenza del fatto che ad ogni comportamento segue una determinata conseguenza. È inoltre fondamentale che il genitore tenga una linea coerente nell’educazione del figlio, condivisa con tutta la famiglia e anche con la scuola.
- Stabilire limiti e creare aspettative: i bambini devono sapere quello che ci si aspetta da loro, spiegando con precisione le aspettative che si hanno.
- Stabilire cosa fare quando manifesta comportamenti aggressivi, tenendo conto dell’età e della tipologia del comportamento. È fondamentale, anche in questo caso, tenere una linea comune e costante. La strategia più usata è quella di ignorare il comportamento o distrarlo. È utile spiegargli con calma le conseguenze delle sue azioni con calma. È importante non alzare il tono della voce e sgridarlo e lodarlo non appena smette di comportarsi in modo aggressivo, rinforzando quindi il comportamento positivo.
La famiglia diventa fondamentale nel processo si cura del bambino con problematiche comportamentali. Il terapeuta, oltre a lavorare con il bambino, aiuta i genitori ad essere più efficaci nella gestione delle dinamiche comportamentali che caratterizzano la quotidianità. Inoltre si lavora per costruire un ponte comunicativo anche con le insegnanti al fine di collaborare tutti perseguendo gli stessi obiettivi.
Bibliografia
- Tani F. e Bagatti E. (2007), Il bambino aggressivo, Roma, Carocci
- Sunderland M. (2003), Aiutare i bambini pieni di rabbia o odio, Trento, Erickson
- Berry Brazelton, Joshua Sparrow, Il tuo bambino e… l’aggressività. Una guida autorevole per affrontare rabbia e collera, Raffaele Cortina, Milano, 2006
- Daniele Novara, Litigare fa bene. Insegnare ai propri figli a gestire i conflitti, per crescerli più sicuri e felici, Rizzoli, Milano, 2015
- Daniele Novara, Litigare per crescere. Proposte per la prima infanzia, Erickson, Trento